A. Murru, “Frontiera”, anno III, n. 6, 6 giugno 1975
A Siniscola: una chiesa nuova che fece dimenticare un infame delitto
SUONAVANO a festa quel giorno le campane. Lunghi e veloci rintocchi si rincorrevano come bambini nei giochi domenicali. Sventolavano bandiere, festoni ed archi trionfali per le povere strade del paese, rimesse forse un po’ a nuovo ed accuratamente pulite per quello storico evento, che veniva a rompere la monotonia degli incerti giorni primaverili.
Grande folla quel giorno del 4 maggio 1869 era riunita e convenuta nel paese di Siniscola, come diffusamente ci racconta il Cav. Salvatore Angelo Filippi e come, in modo più colorito ed entusiastico, ci tramandano i nostri vecchi, che sentirono dai loro padri il racconto di sì fausto giorno.
Ma cos’era tutta quella animazione, quel movimento e quella allegria, che mai, nemmeno nelle sagre paesane più riuscite, aveva invaso i cittadini siniscolesi e con essi quelli dei paesi vicini? Per chi quella festa di colori, di canti e di grida? Un gran personaggio doveva arrivare quel giorno, se i pigri e sonnacchiosi abitanti del paese si erano mobilitati in tal modo.
Già da tempo era cominciata l’animazione, la notizia si era diffusa anche nel circondario e le persone più abbienti gareggiavano nell’offrire al parroco le loro case e le loro provviste perché fossero degnamente accolti il Vescovo di Nuoro Mons. Salvatore Angelo Maria Demartis ed il suo numeroso seguito.
Mons. Demartis, da due anni vescovo della Diocesi, dopo che questa era rimasta vacante per ben quindici anni, aveva iniziato in quella lontana primavera di più di cent’anni fa la sua prima visita pastorale ed a Siniscola ci veniva per compiere un augusto dovere: la solenne consacrazione della Chiesa Parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista.
Molte preghiere gli aveva rivolto in questo senso l’allora parroco Can. Teol. Salvatore Carboni, gran predicatore, noto anche per alcune raccolte di discorsi sacri in lingua sarda, affinché venisse finalmente consacrata, dopo più di cent’anni dalla sua costruzione, la Chiesa Parrocchiale.

La nuova Chiesa era stata eretta, su istanza di Mons. Costantino Falletta, arcivescovo di Cagliari, da cui dipendeva Siniscola e la Diocesi, a cura del Dott. Simone Ventura, negli anni dal 1730 al 1754 in cui era stato parroco del paese. Essa era venuta a sostituire la vecchia chiesa di Santa Anastasia, di costruzione pisana, che era andata in rovina, ed ora la nuova si ergeva col suo alto campanile al centro del paese, visibile da ogni lato.
Era questa dunque festa grande, che si preparava per tutto il circondario ed era comprensibile quell’animazione, la gioia, la folla, che dai lati della strada acclamava con bandiere e rami di palma e di ulivo.
Nessuno pensava certo alla triste storia, al raccapricciante episodio, cui la nascita della nuova Chiesa aveva assistito, quando il prete Porcu aveva fatto seppellire vivo il parroco e da questo fatto era scaturita una lunga sequela di delitti, culminata con l’arresto del ribaldo prete senza vocazione. Erano ormai dimenticate, ormai sepolte nel vuoto del tempo trascorso, anche se qualche vecchio si ostinava a ripeterle con varie espressioni ed aggiunte.
Di quelle giornate ci dà notizie il Sindaco di allora, che aveva pubblicato un lungo, articolo sulla «Gazzetta di Sardegna», a ricordo di quei giorni indimenticabili. Da questo scritto, forse un po’ retorico, come d’altronde ci appaiono tutti gli scritti di quell’epoca trascorsa, ricco qua e là di felici notazioni, possiamo ricostruire tutta la cronaca di quei giorni.
La mattina del 4 maggio una schiera di cittadini, col parroco, la rappresentanza municipale e gli ufficiali della Pretura si diresse verso la foresta di Sant’Andrea, ove doveva incontrare il Vescovo, che accompagnato da numerosi sacerdoti e molte altre persone, proveniva da Galtellì. Dopo ottant’anni era quella la prima solenne consacrazione d’una Chiesa nella Diocesi. Si era riusciti a radunare più di cento cavalli, cosa che a noi sembra quasi incredibile, data la povertà del paese.
Ai confini dell’agro siniscolese dettero il benvenuto a Mons. Demartis il sindaco del paese, poi il parroco e ad essi rispose il prelato con illuminate parole e con voce commossa. Numerose ovazioni risuonarono nei fitti boschi da parte dei pastori ivi convenuti, che rivolgevano preghiera al Monsignore affinché benedisse loro e le loro greggi.
Non manca a questo proposito un episodio, che fa fremere di invidia e di rabbia i moderni cultori di Diana: alcuni cacciatori offrono al Vescovo tre cinghiali da loro uccisi nella stessa mattinata.
Indi si riforma il corteo e nelle campagne, che esplodono dei mille colori della primavera, verso il paese. Per tutto il cammino risuona la campagna di replicati evviva e di spari festosi, finché all’inizio del paese una gran folla di circa seimila persone, secondo il giudizio del nostro cronista, accoglie la processione e l’accompagna festose grida fino alla chiesa parrocchiale, dove ci si riposa dalla fatica del lungo e disagiato viaggio. Accompagnavano il Vescovo oltre trenta sacerdoti, che furono ospitati presso le maggiori famiglie del paese, liete di così grande onore, che in quella occasione sfoggiarono la loro ospitalità.
La sera il nobile monsignore viene accompagnato da una confraternita, dai numerosi sacerdoti e dalle persone più qualificate e distinte, dalla casa parrocchiale alla Chiesa, dove si dà inizio alla funzione, sigillando le reliquie e trasportandole al luogo dove per tutta la notte dura la salmodia, alternandosi mente in essa tutti i sacerdoti.
Antonio Murru
Qui la seconda parte dell’articolo.