Nasce una flotta. Il porto parte II

Qui la prima parte della storia del porto di La Caletta.

Chi dorme non piglia pesci … e nasce una flotta.

Il tentativo di inserirsi nel settore del trasporto passeggeri con il catamarano aveva messo in evidenza i limiti e soprattutto i tanti problemi irrisolti del porto di La Caletta.

Mi spiegano che per una serie di ragioni collegate al fondale e a un giro di correnti marine sfavorevoli, sono necessari continui interventi per rimuovere i depositi di sabbia che si formano dentro la zona portuale. Pare sia colpa di una imboccatura sbagliata e del canale Vivarelli che al suo arrivo in mare incide energicamente sui movimenti del fondale, proprio in prossimità di quella imboccatura. Un’opera, dunque, bisognosa di rifacimenti radicali, oppure, per rassegnazione, destinata ad abbandonare i sogni di gloria per un’affermazione più modesta e forse più consona alle fragili condizioni ambientali e alla naturale vocazione turistica del territorio.

Mentre le potenzialità inespresse del porto e l’ambizione di essere competitivi alimentavano discordie e divisioni, in particolare tra i politici, interrogandosi su quali treni si dovessero prendere al volo, c’era chi il suo treno l’aveva già tirato su con le reti!

“Chi dorme non piglia pesci” avrà pensato il giovane Gino Pinto, mentre lasciava il posto sicuro di comandante del motopeschereccio Venere della ditta Memmoli di Olbia, per entrare nel nostro porto alla fine del 1960 con il Santa Rita, un piccolo peschereccio tipo paranzella, non tanto più grande di altre imbarcazioni già presenti.

Originario pugliese e accompagnato dalla moglie Antonietta, si era messo in proprio scegliendo il nostro mare e il piccolo borgo costiero di La Caletta, sicuro di ciò che avrebbe trovato nel nostro mare, ricco di pesce e prospettive.
Si trattava del primo peschereccio con funzionamento meccanico per la pesca a strascico e seppure se ne vedessero già da tempo in giro, era uno spettacolo tutto nuovo per i locali e ammirarlo da vicino era un’altra cosa. Pinto non sapeva in quel momento, o forse in cuor suo lo prevedeva, di dare inizio a una nuova era: quella di una flotta di pescherecci tra le più grandi in tutta la Sardegna.

Nel borgo vicino di Santa Lucia già brulicavano e smagliavano le reti altri protagonisti dei nostri mari e quando dalle località vicine arrivavano i contadini a barattare i propri averi con il pesce fresco, il profumo del mare lo si sentiva nel pescato quanto nello spirito di quei pescatori.

Sulla scia di tanti ponzesi in viaggio per il Mediterraneo, il capostipite Silverio Avellino, noto Silviuccio, era approdato a Santa Lucia con la sua piccola barca da pesca artigianale a tremagli, palamiti e nasse.
Siamo nei primi anni del 1970 quando inverte la rotta e abbraccia la pesca meccanica, il futuro investe l’arte familiare e si fa grande: eccolo allora entrare in porto con il peschereccio Maria Pilati.

Pescatore che aggiusta le reti. Foto di M.F. Murru

Le famiglie Pinto e Avellino rappresentano la prima generazione di pescatori a strascico di La Caletta, arrivati letteralmente dal mare per stravolgere l’approccio alla pesca, fino a quel momento affidata alle capacità manuali e alla buona luna.

Chi aveva importato quell’arte dalla lontana città di Cabras, il pioniere della pesca artigianale nella peschiera calettiana, Angelino Flori, osservava con rispetto quella nuova stirpe di pescatori, rimanendo però ancorato alle sue tradizioni mentre la flotta dei pescherecci cresceva.

In poco tempo, arrivano a La Caletta la famiglia Vitiello, all’esordio solo stagionalmente, e poi gli Aiello, dopo anni di pesca tradizionale. Il fratello di Gino Pinto acquista il peschereccio Rosanna da Santino Avellino, figlio di Silverio. I familiari e gli eredi entrano nel giro!
Si affacciano al Porto anche le famiglie Ogno, Mazzella e Tocco, che nel frattempo si costituiscono in cooperativa.

Lo slancio economico degli anni d’oro stimola il settore, il mare abbonda di provvidenza, ce n’è per tutti.
La popolazione marittima aumenta e tra armatori e imbarcati si contano punte di decine di occupati. Saranno tanti i giovanissimi locali a mollare gli ormeggi a notte fonda pur di partecipare personalmente a questa crescita e fervore. Dal porto di La Caletta si eleva una nuova identità di professionisti capaci e lungimiranti, destinati a emergere con profitto nel commercio di prodotti ittici e nella ristorazione, posti di lavoro per sé e preziosi per altri.

Peschereccio con reti. Foto di Luigi Pinto

Da un elenco ufficiale, i pescherecci attualmente ormeggiati nel porto di La Caletta sono 29, con modalità di pesca differenti. Benché i numeri siano ancora alti, le fatiche della vita a mare non sono granché gradite ai nostri giovani e reperire personale qualificato, mi dicono, è sempre più difficile.

La flotta però gode ancora di ottima salute e il rapporto con il porto è oramai consolidato. In quanto pescatori professionali, non è previsto un costo di ormeggio ma solo il pagamento di una tariffa forfettaria a copertura dei servizi per utenze e guardiania. La disposizione lungo la banchina è il frutto di un tacito accordo tra pescatori e di una convivenza pacifica che si perpetua da decenni. Un rispetto reciproco e talvolta, al bisogno, anche un aiuto reale, il mare non scherza.

Quando intervisto uno dei Pinto, tra i giovani, voglio sapere tutto.
Mi spiega che le rotte del peschereccio sono tracciate da un GPS che agisce da navigatore e segnala le cale, cioè i canali su cui strascicare per rintracciare certe tipologie di pesce. Le cale rappresentano dunque strisce direzionali che si intersecano o corrono parallele, ognuna con il proprio fondale e con le proprie caratteristiche.
Ecco la risposta alla domanda che stupidamente mi ponevo: come diamine fanno ad andare per gamberi o calamari!
Lo strascico è consentito solo oltre le tre miglia dalla costa e con 50 mt di profondità, soglie sotto le quali è severamente vietato fare pesca a strascico. I registri e le dotazioni tecniche sono sempre più sofisticati e registrano gli spostamenti dei pescherecci con una mappatura precisa. Questo dovrebbe rassicurare chi sospetta, e non sono pochi, che ci siano comportamenti maldestri di alcuni a danno dei nostri fondali.




La Capitaneria di porto e il Corpo Forestale, potenziato in estate dai Vigili del fuoco, si assicurano che i protocolli di sicurezza e salvaguardia dell’ecosistema marino, anche in riferimento al pescato, vengano rispettati.
«Quelle disposizioni salvano le nostre vite e preservano le condizioni della costa perché il nostro lavoro non vada a morire, non abbiamo interesse ad eluderle», mi dice Luigi e non faccio fatica a crederci. Siamo gente di mare e sappiamo bene cosa può dare e cosa può togliere. Anche cosa può restituire dal passato…

Angelino Flori raccontava proprio questo nel bar del porto, impegnato in una rituale partita a carte con l’amico Francesco Vitiello: «…le reti si erano incagliate e indovina un po’ dove vanno a infilarsi? In un antico galeone spagnolo che aveva ancora i fari accesi!»
«Non dirlo a me», gli aveva risposto l’altro, descrivendo la morena di uno, due, tre, cinque metri tirata su con un palamito, «non finiva più!»
«…ma quando mai!» fu la reazione di Flori prima della storica risposta di Vitiello:
«…tu spegni i fari del galeone e io accorcio la morena!»

Genni Piras