Annamè la madre dei pozzi

L’ultimo romanzo di Giuseppe Cristaldi: un salentino sardo dalla penna senza tempo.

Annamé è l’ultimo libro di Giuseppe Cristaldi, edito da BESA, in libreria da qualche giorno con il sottotitolo La madre dei pozzi”.

Giuseppe Cristaldi è un autore salentino che da anni ha scelto di vivere in Sardegna, sebbene frequentandolo si abbia l’impressione che sia accaduto piuttosto contrario, vale a dire che sia stata la nostra terra – da lui spesso definita madre – a chiamarlo a sé, avvolgendolo nel suo grembo per darlo alla luce una seconda volta, che fizu ‘e anima (come figlio d’anima).

La sua storia di scrittore talentuoso e premiato inizia nel 2007 con “Storia di un metronomo capovolto“, con nota di Franco Battiato, il quale omaggerà con un cameo filmico anche la sua Orazione per i martiri dei petrolchimici, opera del 2008 dal tema sempre attuale dei morti sul lavoro.

Accanto a “La versione di C”, scritto con Cristiano De André, l’autore ha pubblicato diversi libri e romanzi, tutti molto intensi e non di rado impegnati.

Nel 2023 e nel 2024 Giuseppe Cristaldi è stato ospite del Liceo Scientifico “M.Pira” di Siniscola, durante un incontro-dibattito con gli studenti sul tema della dignità e della sicurezza del lavoro, a partire dal libro “Drammaturgia degli invissuti“, scritto a quattro mani con il cantautore e poeta Oliviero Malaspina, anch’egli presente per l’occasione.

Tuttavia, il legame con la nostra terra e l’amicizia sono motivi accessori, rispetto all’emozione forte e sempre nuova che mi regala la lettura delle opere di Giuseppe Cristaldi, nella quale mi immergo sempre volentieri.

Annamé non tradisce le aspettative, ancora una volta.

Il romanzo racconta di una giovane contadina del Salento, la cui storia di sofferenza, forza interiore e volontà di emancipazione, racchiude la storia di un certo femminismo anni Settanta dalla connotazione più specificamente meridionale.

Illumina un universo femminile che vuole uscire dall’ombra in cui è stato relegato, ribellandosi alle convenzioni sociali e alla paura di cambiare per gettare i semi di un futuro che solo immaginarlo è già lotta di civiltà.

Anna porta nel suffisso, aggiunto al suo nome nel buio della cantina in cui è nata, il suo intero destino.
Quel “mè” finale viene da “mena”, che in Salento indica lo sbrigarsi, il togliersi davanti in fretta per non essere di intralcio.

La sua stessa nascita è stata, infatti, motivo di imbarazzo, nel senso etimologico del termine: un’esistenza ingombrante, figlia del peccato.

La sua vita sarà un susseguirsi di nodi e di strappi.
Ogni nodo un dolore, ogni strappo un atto di libertà.

Il primo nodo è un padre sul quale Anna cerca la verità, trovando la propria, come sempre succede nel gioco familiare del rispecchiarsi.

Il secondo è quel meridione che abita e che si porta dentro. Sono le radici salde che, mentre sostengono e difendono dalle sferzate più energiche del destino, impediscono agli slanci vitali di cambiarne il corso. Quella Parabita che trasforma ogni corsa in fuga e ogni fuga in ritorno.

Il terzo è la madre Vata, la quale innesca al tempo stesso lo strappo e il ritorno più significativo.
Le due donne si separano, nel desiderio della figlia di tagliare il cordone ombelicale e di una vita diversa da quella incarnata dalla madre, per poi ritrovarsi e fondersi a nuova invincibile forza, nel comune vissuto di violenta sopraffazione maschile e nella resistenza congiunta al potere dei pozzi che inghiottono persone, ricordi e vita.

Sullo sfondo di queste esistenze ci sono le lotte femminili del Sessantotto, con i suoi modelli, da Joice Lussu (moglie del nostro Emilio), a Rina Durante, a Pier Paolo Pasolini. Alla tensione internazionale dell’Età Bipolare si uniscono la creatività musicale, le vicende complesse e tumultuose degli anni di piombo in Italia e la durezza della vita contadina del sud, la cui fatica senza apparente speranza ricorda quella sarda dello stesso periodo.

La scrittura di Cristaldi è intensa e icastica, a tratti lirica, preziosa.
Non ha paura di scavare nelle pieghe dell’animo umano e neppure di pronunciare parole inattuali che talvolta si ha la pretesa fuorviante di addolcire, come la parola vendetta.

Leggere questo romanzo è come attraversare quel ponte tra passato e futuro che ogni generazione traccia con le proprie speranze, lotte e sconfitte. Ricorda alle donne e agli uomini di buona volontà quanta strada è stata percorsa per giungere al traguardo della parità di genere e quanta ancora ne resta.

È scoprire che i pozzi sono spesso una nostra creazione, un abisso, un risucchio interiore a cui ci si può sempre sottrarre un attimo prima di aver toccato il fondo, come esseri umani radicati e liberi.


Pasqualina Traccis

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