Polemica a distanza tra Luigi Pirandello e Grazia Deledda.
“(…) Avevo un irresistibile miraggio del mondo e soprattutto di Roma. E a Roma, dopo il fulgore della giovinezza mi costruii una casa mia dove vivo tranquilla col mio compagno di vita ad ascoltare le ardenti parole dei miei figli giovani (…)”
Questa è una parte del discorso tenuto da Grazia Deledda davanti all’Accademia reale svedese a Stoccolma il 10 Dicembre del 1927 alla consegna del Premio Nobel per la Letteratura assegnatole per l’anno precedente, il 1926, anno in cui non era stato assegnato per mancanza di candidati idonei.
Grazia Deledda fu e resta fino a oggi la prima e unica autrice italiana ad essere stata insignita del prestigioso Nobel per la Letteratura.
Ed è proprio da quel “compagno di vita” sottolineato anche nel discorso della Deledda agli accademici svedesi che voglio partire per riflettere su come a qualcuno in Italia apparisse da diverso tempo inaccettabile la posizione che, Palmiro Madesani, marito di Grazia Deledda, avesse nella vita della scrittrice e che si rivelerà essere il suo più fedele alleato.
Quel “qualcuno” a cui quel rapporto coniugale aveva creato una non celata insofferenza è un altro grandissimo letterato italiano, isolano anche lui: mi riferisco a Luigi Pirandello.

Riferiscono persone appartenenti all’ambiente letterario romano che tra Pirandello e la Deledda non corresse buon sangue e, durante un loro incontro a Roma nella redazione di “Nuova Antologia”, il drammaturgo agrigentino sia stato colpito, non dalla autrice sarda, ma da suo marito, appunto il Madesani, che era anche il suo agente letterario, dal rapporto profondo che intercorreva tra i coniugi.
Negli ambienti letterari battezzarono Madesani “Grazio Deleddo” e si presume su suggerimento dello stesso Pirandello.
Era già dal 1905 che Pirandello pensò ad un romanzo che vedeva la figura di Palmiro Madesani ridicolizzata nelle pagine dello scritto.
Pirandello era rimasto colpito dal profondo legame di amicizia-amore che univa la Deledda al marito, “invidia” scaturita probabilmente dal fatto risaputo che lo scrittore viveva a casa sua un “inferno familiare”.
A causa dei pesanti problemi mentali di cui sua moglie, Antonietta Portulano, soffriva da tempo, Pirandello doveva affrontare le continue crisi di gelosia e di paranoia di sua moglie che lo devastavano, fino a che lo scrittore non internò sua moglie in una casa di cura sulla Nomentana, a Roma. La coppia Deledda-Madesani viveva invece in un clima sereno, in un rapporto di reciproco sostegno.
Pirandello decise quindi di dare alla stampa, nel 1911 con i tipi di Treves il suo romanzo, “Suo marito”, non nascondendo in una lettera inviata all’amico Ugo Ojetti, che aveva preso spunto dal marito della Deledda, ridicolizzandolo, appunto, nel suo rapporto con la moglie scrittrice. Ma l’editore Treves si rifiutò di pubblicarlo.
Egli sostiene, infatti, che vuole evitare che si spettegoli nei salotti letterari a danno dello stesso Pirandello, ma soprattutto della Deledda che non accetterà mai una simile opera e addirittura cercherà di impedirne la stampa.
Pirandello è di parere opposto e pensa che “Suo marito” sia un capolavoro!

Le vari allusioni, invece, contenute nel romanzo, per quanto possano essere velate, sono riconducibili alla scrittrice e a suo marito e di certo non sono gli unici, in ambito letterario, a pensarla così.
Pirandello non retrocede e pubblica l’opera con l’editore Quattrini e solo in un secondo momento rimaneggerà il romanzo intitolandolo “Giustino Roncello, nato Boggiolo”, che però Pirandello non riuscirà a concludere.
Quando, nel 1927, a Grazia Deledda viene conferito il Premio Nobel per la letteratura, Pirandello esprimerà giudizi poco carini nei confronti della collega, accusandola addirittura di avere ordito intrighi pur di ricevere un così ambito premio.
Lo stesso Pirandello sperava da anni di riceverlo, ma senza riuscirci, essendo stata preferita in quell’anno una scrittrice e per giunta sarda!
La Deledda, dal canto suo, tramerà, però senza riuscirci, perché non venga attribuito il Nobel a Pirandello che giunge per lo scrittore nel 1934. Probabilmente Pirandello, inconsciamente, in questo suo modo di agire nei confronti della scrittrice sarda, ha visto una situazione familiare a lui estranea, lontano da ciò che era il suo vissuto quotidiano e ciò ha fatto scaturire una sorta di invidia non confessata.
Una caduta di stile veramente ingiustificata! Mi piace chiudere queste riflessioni con la dedica che Grazia Deledda fece al marito nel romanzo “Nostalgie”:
“…abbiamo raggiunto quasi tutti i nostri sogni, dedico a te MIO CARO COMPAGNO di lavoro e di esistenza, questo racconto“.
Giovanna Flori