Recensione di “Istella mea”, Ciraco Offeddu, Giunti Editore.
Sono 81 i libri di narrativa in lingua italiana (pubblicati tra il marzo 2024 e il febbraio 2025) proposti per la LXXIX edizione del Premio Strega 2025. Tra questi, Vi segnalo un titolo in sardo, “Istella mea” del nuorese Ciriaco Offeddu, edito dalla casa fiorentina Giunti editore.
Offeddu esordisce nella Giunti con “Istella mea”, un romanzo istintivo ma ben tessuto e gravido di storie nelle quali, come accade alla giovane Rechella, ti perdi e poi provi a salvarti da un dolore che divora. Offeddu ci introduce entro vecchi cortili (di Nùoro e del mondo) “che nascondono segreti e misfatti, vite rovinate e figli trattati come bambole senz’anima”. Ci mostra una Sardegna rassegnata e povera dove il dolore è “persino sotto la sua crosta”.
Sono storie senza tempo quelle di Offeddu; capaci di esplorare l’amore, la vendetta, le malinconie e lo smarrimento dei migranti, la poesia dei luoghi perduti come “le case fitte di Nùoro, con i vicoli profondi come gole” e di sponde nelle quali si naufraga o ci si immerge “come in una vasca di olio lenitivo”.
Offeddu si rivela un sapiente cantastorie che conosce “sas cosas de su munnu”, ma mostra anche una potente forza evocativa capace di tratteggiare un’infanzia (forse la sua) più immaginata che vissuta.

“Istella mea” è un coacervo di vite alla ricerca di orizzonti lontani che hanno il senso del realismo magico di “Eva Luna” di Isabel Allende. La scrittrice cilena ha riempito le sue pagine di fantasmi e spiriti con una tale noncuranza da considerarle presenze del tutto naturali all’interno del racconto. Ed anche nel romanzo di Ciriaco Offeddu è quasi naturale imbattersi nel senso del sovrannaturale, dello spirituale, in una parola del mistero.
In queste pagine il Bene si confonde con il Male e Vita e Morte sono “sorelle abbracciate”. In esse, come nei racconti di J.L.Borges, ricorrono temi come l’immortalità, lo sdoppiamento della personalità e l’infinità del tempo e dello spazio.
I tempi narrativi di “Istella mea” sono misti; le vite di Rechella, Martino, Pietro, Angela, Zolu Fodde e finanche dell’asino Billubì non sono raccontate nella loro successione cronologica lineare, ma in lunghissimi flashback, in un tempo soggettivo nel quale il passato riaffiora e si intreccia, con infiniti fili, al presente. Le stesse vicende sono raccontate ora da un narratore ora dall’altro. Per tal motivo le atmosfere di “Istella mea” sono insieme realistiche e fantastiche, in un universo ora sardo e ora argentino in apparenza normale ma dominato dall’assurdo e dall’imprevedibile.
In questo romanzo si dipana una lotta eterna fra Maria e Rechella.
La prima è sedotta dalla Morte in modo spaventoso ed è “avida della luce degli altri”; la seconda è una figura francescana che agisce al contrario, “è passionale, pura e altruista”, in opposizione al Male che (lo impariamo leggendo) è concetto e sostanza reale.
Non nego che i passi di taglio antropologico che indagano l’essere umano succube di mondi, costumi e figure ancestrali, risultino un po’ didascalici ma quando riprende la narrazione di vite “in un tempo non risolto che si libra alle nostre spalle” è di nuovo un bel leggere.
Ho scoperto e amato “Istella mea”, perciò il prossimo 15 Aprile, mi auguro di scoprire l’ingegner Offeddu tra i 12 discepoli dello Strega, poi nella rosa dei cinque, poi…
Se ciò non avvenisse, giuro di adattarmi pur a fatica, “come fanno le donne che si adeguano alle cose e sopravvivono perdendo ogni tanto pezzi di sé”.
Francesca Capra