Sassari, cara Sassari

“Allo sguardo attento” è l’ultimo romanzo di Cosimo Filigheddu (Il Maestrale, 2025).

Il libro, che si legge benissimo, molto ben scritto, rende immediate le “sfumature biografiche” dell’autore, di cui, in filigrana di pagina, emergeranno le pluralità; già giornalista, è anche drammaturgo, romanziere, autore di saggi di storia locale, blogger; registri di scrittura che – tutti – si ritrovano in questo romanzo.

Altrettanto attento deve essere poi il lettore per cogliere le linee di continuità – il discorso d’assieme – con i romanzi precedenti.
Se, ad esempio, “Rosa Zecchina e i suoi colera” usava i registri narrativi del romanzo ottocentesco per raccontare lo sviluppo di Sassari; se la “Guerra di Pasca” vede la città vivere i colpi di coda del regime fascista mentre si affaccia alla democrazia nel nuovo Stato repubblicano; se “Sotto il Grattacielo” è narrazione distopica che racconta di consorterie impegnate ad indirizzare gli sviluppi urbanistici di Sassari; se “L’odore della città” è sguardo di sconforto sulle bassezze morali di certa, impropriamente detta, élite che Sassari governa; se “Fare i conti”, romanzo sassarese del 25 aprile vuole essere una riflessione su cosa il fascismo abbia rappresentato per Sassari che si risveglia libera, “Allo sguardo attento” – in linea di coerente continuità – colloca Sassari al centro della narrazione e delle vicende nazionali: molto di più di un semplice contesto spaziale.

È – nel vedersi e vederla parte degli sviluppi della storia nazionale – l’interrogarsi su scelte e destini. Romanzo distaccato da certa narrativa “resistenziale”, tesa ad idealizzare dimensioni localistiche, esaltanti specificità fuorvianti: è l’eredità di Mannuzzu (“Nessuno mi può insegnare come volere bene a mamma”, diceva intendendo la Sardegna), è la severità di Fois verso certa narrazione ammiccante al folclore, compiacente stereotipi che si ingrassano.

Filigheddu scrive utilizzando tutte le sue modalità di scrittura – storico, giornalista, romanziere, drammaturgo (si potrebbe aggiungere anche editor, quando fa le pulci ai luoghi comuni che gli attori si troveranno nel copione). Un autore trasfigurato e trasfuso, che – uno e trino – mi piace intravedere nelle pluralità delle prime persone di questo romanzo.


Alla vigilia della visita di Mussolini a Sassari – 1923 – il suo teatro viene distrutto da un incendio.
Ci sarà il ritrovamento di un cadavere sfigurato, depistaggi ad occultarne le cause: così si apre il romanzo. Che rotola all’oggi quando un “attorino”, nello stesso teatro, vi si reca per un provino. Dovrà interpretare Enea Martinetti, un costruttore rampante non schierato con il regime fascista – un afascista, più attento ai soldi che alla politica.



L’attore ha studiato bene il suo copione e resta stupito dal teatro vuoto: una porta aperta è nella penombra del palcoscenico. Attraversandola – come lo specchio di Alice, entra nel ruolo. Varcandola per uscirne, si ritrova in platea, in parte con i vestiti di scena: mister Jekil e dottor Hyde. “Signori, chi è di scena” è la parola d’ordine che governa i tempi della ribalta.

Qui troverà Serenella, la bellissima moglie, Simone Falchi, un giornalista mussoliniano, amico di infanzia, Leonardo l’idraulico tuttofare, mutilato di guerra, socialista (ma quanto ricorda Trapadè!, “maschera del teatro sassarese, come Pulcinella nella commedia napoletana”, altresì personaggio reale della sassaresitudine – e qui rubo dal blog che Filigheddu tiene su Fb); Sandrina, la domestica minacciata di molestie. Altri. Ci sarà un attentato: una fucilata verso il terrazzo che ferirà lievemente Enea Martinetti senza impedire l’incontro imminente con Mussolini in arrivo alla stazione, atteso da una folla oceanica, seppure pochi mesi prima il suo partito – rileva Filigheddu – abbia preso appena una manciata di voti alle elezioni.


L’attore, sulla scena constata il trucco sui volti dei suoi comprimari trovandosi dentro la commedia ma libero di uscirne, al punto di interrogarsi “Da dove provenivano quei ricordi sempre più indeterminati che gli parlavano di un altro uomo che sapeva molto di teatro…Venivano da un confuso passato della sua esistenza? O dal futuro del tempo in cui viveva?” (pag. 60). In scena il ruolo di costruttore il cui nome strizza l’occhio al futurismo, gli dà capacità divinatorie: quando, in una trance, stringendo la mano a Mussolini ne intravede la fine e Piazzale Loreto. Sarà il duce – in auto verso un sopralluogo al teatro distrutto -, a dargli l’indicazione delle esigenze della città e dello sviluppo urbanistico, di cui sarà dominus – con o senza tessera del Pnf.

Appunto la città, dicevamo e la scalata al potere del locale fascismo: giornale, sindaco di lì a poco messi a tacere.
Eppure Enea Martinetti vive una zona franca del regime – “condivideva il disprezzo di Serenella per l’ignoranza del popolo fascista ma, più di lei, capiva che quella era la vera forza del nuovo movimento” (p. 188). Anzi, lei era capace di consentirsi verità scomode con tutti gli interlocutori, tra i quali Stefano Falchi, cui dice “Lei si è messo a fare il giornalista perché non aveva voglia di laurearsi e in questo mestiere basato sulla superficialità non sono richiesti studi approfonditi” (p.71).

E il ruolo strategico del giornalismo?
Poche pagine prima il proto del giornale in fase di asfissia dice “Mussolini ha fatto del giornalismo il principale strumento del suo potere e ritiene ogni collega potenziale alleato” (p.56). Ma siamo sempre in un teatro per recitare i destini di una città ben avvertiti della “realtà della scena e la falsità di chi la occupava” (p. 44). Stefano Falchi e Enea Martinetti scopriranno il loro passato durante la guerra: uno in trincea, l’altro nello spionaggio – elemento che nel romanzo introdurrà spunti di analisi storico politica su parti delle istituzioni italiane che sfuggivano alle spire del totalitarismo fascista.

L’evoluzione del romanzo riserverà sorprese declinando le meschinità del tradimento e delle ambizioni amorali ricorrenti.
La Storia, per Filigheddu è tanto studio del cambiamento quanto delle continuità, dove “tutto cambia perché nulla cambi”. Perciò la narrazione: il romanzo, per riappropriarsi delle libertà che un saggio nega.

La storia di Sassari osservata non come un’arcadia inesistente – e qui rubo da una sua recensione teatrale, di cionfra e ziminu, – ma “per rilevare che quel mondo di contadini e orti era un mare di sfruttati su cui galleggiava una zattera di benpensanti che per di più tentavano di sfottere il popolo”.

“Lo Stato è finzione – dirà Mussolini. Dobbiamo difendere i ricchi come te perché producono ricchezza, ma dobbiamo nello stesso tempo alimentare l’invidia contro di loro, dando impressione che puniamo i privilegiati” (p.159).


Il libro è molto bello: avvincente, con una trama ricca di snodi narrativi che fanno apprezzare la bella letteratura.
È un romanzo difficile da scrivere, bello da leggere. Grazie Cosimo.


Ruggero Roggio

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