I tempi reconditi del sionismo

Olga Tokarczuk è scrittrice di grande interesse al di là del Nobel vinto nel 2018.
Di lei ho letto I Vagabondi (Bompiani, 2019, altresì vincitore dell’International Man Booker Prize 2018); Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (Bompiani, 2020) ed infine I libri di Jakub (Bompiani, 2023, p. 1114 € 29,00). Un libro imponente, dove la numerazione delle pagine percorre a ritroso un viaggio nella complessa galassia ebraica, altresì tributo ai libri della loro cultura, e dove “ogni ordine è questione di abitudine” (p.26), forse primo esempio di Sionismo, utopistico, storicamente disponibile.

Terminata la lettura sono andato a riguardare Un Occidente prigioniero di Milan Kundera, che ci ricorda: “Non sono dunque i confini politici (…) a delineare e determinare l’aggregazione centroeuropea, ma le grandi situazioni comuni che riuniscono i popoli, e li raggruppano in maniera sempre diversa, entro confini immaginari e sempre mutevoli…” (Adelphi, 2022, p.60-61).

Aiuta la lettura (e a capire) il frontespizio del libro: I libri di Jakub o il Grande Viaggio. Attraverso sette frontiere cinque lingue e tre grandi religioni senza contare quelle minori. Narrato dai Morti, e dall’Autrice completato col metodo della Congettura, da molti e da vari libri attinto e sorretto inoltre dall’Immaginazione che dei Doni naturali dell’uomo è il più grande.

Tutto affascina e sorprende per complessità. Ma, forse, – facendoci vivere le contraddizioni di un Europa di oltre 200 anni fa, – tutto è di aiuto a capire proprio il presente come noi lo viviamo: guerre; duplicazione dell’io nell’infosfera dei social; differenze e differenziazioni; una politica che disfa la tela della pace costruita con fatica dopo la seconda guerra mondiale.
E dentro queste complessità, storiche, viaggiamo leggendo di Jakub. Lo fa dire meglio, Olga Tokarczuk a “un certo Diderot”: “L’universo, sia reale che intellettuale, può essere rappresentato sotto un’infinità di punti di vista, e il numero dei sistemi possibili della conoscenza umana è tanto grande quanto il numero di tali punti di vista” (p.173).

I libri di jakub

Jakub Frank, il protagonista del libro, è figura storica e di aiuto all’autrice è il libro Frank e i frankisti polacchi1726-1816. Monografia storica. Dunque la consultazione di una bibliografia estesa, di archivi e biblioteche.

Ebreo polacco vivrà l’Europa del 1700 spostandosi tra gli imperi dell’epoca: Russo, Austroungarico, Ottomano e darà sostanza con la sua vita eclettica ad una visione eretica dell’ebraismo, con conversioni all’islam ed al cattolicesimo, sino battesimo dell’intera setta dei frankisti. È la complessità che lo affascina “Da una legge della Torah la Mishnah ne ha tratte dodici, e la Ghemara cinque dozzine… Ditemi allora, come dobbiamo vivere? (p.1001)

La soluzione sarebbe nella riflessione di Dio “E Dio si sarà detto: non posso avere un uomo libero e allo stesso tempo sottomesso a me. Non posso avere un uomo libero dal peccato che sia al tempo stesso un essere umano. Preferisco allora un’umanità peccatrice piuttosto che un mondo senza uomini” (p. 997).

E i personaggi declinano questa scelta con le proprie contraddizioni: la matriarca Yente, mai morta del tutto ed “occhio viandante nello spazio e nel tempo, ma può anche scorrere attraverso i corpi umani” (p.34), che guarda vigilando sul dipanarsi della storia; Moliwda, interprete di molte lingue (c’è spazio per il ladino sefardita!) perciò prezioso per i Neofiti e per le cancellerie dove presterà servizio (una vita fatta di “bugie patentate. Così fu eretto un monumento alla sua vita menzognera”, p.137); Nacham fedele a Jakub pronto ad immedesimarsi in Giuda sino a tradirlo, per cui finirà confinato nel santuario di Czestochowa nel 1760; le donne, un harem dell’intera setta; Ewa, la bellissima figlia di Jakub amante dell’arciduca d’Austria e amica di un Giacomo Casanova per niente seduttivo, e via di seguito gli eredi della comunità, che cerca di fondare un regno con propria autonomia: “Abbiamo due fini”, dice Jakub “Il primo è raggiungere il Daat, il sapere, attraverso il quale otterremo la vita eterna e ci svincoleremo dalla prigione del mondo. Lo possiamo fare in un modo più concreto: avere un nostro posto sulla terra, un paese in cui instaureremo le nostre leggi, (…) il vecchio ordine è già crollato e noi dobbiamo inserirci in questa confusione per agguantare qualcosa per noi (…). Colui che ha stendardi e un esercito, sia pure il più piccolo, in questo mondo è considerato un vero sovrano” (p. 214).


“«Non sono colui che sono»“, dice il Signore [Jakub] dopo un lungo momento di silenzio. Nella quiete della notte si sentono dei colpi di tosse” (p.95). Siamo alla fine del viaggio terreno di un mistico che fonda una religione facendosi credere il Messia.

Lascia un’eredità di debiti e deliri, ed un consiglio: “Quando vi chiederanno da dove venite e dove andate, fatevi sordi e date l’impressione di non capire le loro parole. Che dicano di voi ‘quella gente è bella e buona, ma è rozza e senza cervello’. Voi assentite.” (p. 94)
Un affresco. Un libro di stupenda letteratura e di saggistica romanzata: ricerche d’archivio meticolose, scavo sociale e psicologico, dacché – va sottolineato – l’autrice ha studiato psicologia a Varsavia.


Chissà se Milan Kundera sarebbe d’accordo con questa mia lettura, nel momento che scrive “(…) nel XX secolo gli ebrei erano il principale elemento cosmopolita e integratore dell’Europa centrale, il cemento intellettuale, il compendio del suo spirito, i fautori della sua unità spirituale” (op cit, p. 62).

Emerge il ruolo di vittime: “E i popoli centroeuropei non sono certo i vincitori. Sono inseparabili dalla Storia europea, senza di lei non potrebbero esistere, ma di questa Storia sono solo il rovescio, le vittime e gli outsider”.

“Non scordiamo che solo opponendoci alla Storia in quanto tale possiamo opporci a quella di oggi” (ivi, p.63).
Il maiuscolo della parola Storia deve farci riflettere.

Ruggero Roggio

Articolo precedenteSovranità
Articolo successivoLeggendo Pulixi